martedì 28 agosto 2018

Aereoporto di Capodichino vera risorsa per la città?


L'Associazione Gente Green invita cittadini, associazioni, comitati ed istituzioni ad aprire un dibattito
 sui costi ambientali, la sicurezza e la salute dei cittadini rispetto alla presenza di un aereoporto in città, ricordando che proprio per queste problematiche il piano regolatore vigente prevede la delocalizzazione dell'aereoporto di Capodichino


All'inizio era campo di Marte fino a quando, nel XX secolo, non ci furono le prime esibizioni di velivoli. Da allora è trascorso più di un secolo e quelli che erano casali e fattorie sono diventati palazzi, condomini e parchi sia intorno all'aeroporto sia su tutte le Colline della Città del Vomero, Arenella e Capodimonte, attuale rotta dove gli aerei sorvolano i palazzi a poche decine di metri di distanza. 

Oggi l’aeroporto di Capodichino è all’interno dell’aera urbana di Napoli, a qualche kilometro dal centro cittadino, e dai quattro milioni di passeggeri del 2000 oggi ne accoglie più di otto milioni. Troppi per un'aeroporto in pieno centro; infatti il vigente Piano Regolatore Comunale di Napoli prevede lo spostamento dell'aeroporto e la destinazione dell'area a parco (zona F, sottozona Fc - Parchi di nuovo impianto) anche se tutti fanno finta di non ricordarsi.

Nelle manovre di atterraggio da ovest, gli aerei sorvolano a bassissima quota le residenze della Collina di Capodimonte e la sua Pinacoteca, con tutti i suoi preziosi dipinti, e il Bosco di Capodimonte, polmone verde della città. Perfino Jack Lang, già ministro della Cultura, della Comunicazione e dell'Educazione nazionale francese, invitato domenica 9 luglio u.s. a partecipare a un dibattito al Museo di Capodimonte, affermò: “Avete fatto tante cose belle ma non avete ancora risolto il problema del sorvolo degli aerei". 
Nelle fasi di decollo, invece, gli aerei sorvolano il super abitato Centro storico, tutelato dall’UNESCO, sottoponendo tali luoghi a un continuo fragore assordante non compatibile con un Sito inserito nella lista del Patrimonio Mondiale dell'Umanità e con le loro caratteristiche artistiche e culturali.

Gli aerei, nelle manovre di atterraggio e decollo, sorvolano anche altre popolose aree residenziali della città, tra le quali Bagnoli, Arenella, Vomero, Sanità, San Pietro a Patierno, San Carlo all’Arena, oltre al comune di Casoria. Il rumore prodotto da un solo aereo è tale da sovrastare, anche all’interno delle abitazioni, il suono di un apparecchio radio-televisivo o di una conversazione fino a tardi. Il fastidio diventa insostenibile se si pensa alla frequenza dei voli giornalieri, che aumenta nel periodo estivo, non solo per il maggior numero di voli ma anche per il fatto che per il caldo si tengono finestre e balconi spalancati. 
All’inquinamento acustico si devono poi aggiungere i problemi legati all’inquinamento atmosferico e all’elevato rischio per l’incolumità delle persone, dovuto alle bassissime quote di volo sulle aree residenziali urbane.
In questo quadro, la pur positiva crescita del turismo nella nostra città, legata anche all’incremento di nuove rotte aeree, determina di riflesso rischi sempre più elevati per la sicurezza e l’incolumità delle persone e delle cose a causa della maggiore frequenza giornaliera dei voli.
Ma non è tutto, pare che si vorrebbe utilizzare lo scalo anche di notte e far lavorare l'aeroporto h24 aumentando il danno alla salute dei residenti lungo le rotte e la conseguente svalutazione del valore degli appartamenti ubicati in tali aree.
Non chiediamo di ridurre il turismo, anzi desideriamo che aumenti, ma questa condizione di disagio e di rischio non è più accettabile per molti napoletani che vorrebbero vedere la loro città sempre più valorizzata e conosciuta dal turismo internazionale  in una prospettiva, però, in cui lo sviluppo turistico coincida con il miglioramento della qualità della vita e della salubrità ambientale.
Per coniugare la sicurezza e la sostenibilità ambientale allo sviluppo del territorio, chiamiamo tutte le Associazioni Ambientaliste, i Comitati Civici, i Comitati no fly zone a raccolta, proponendo di avviare un dibattito con l'obiettivo di puntare a realizzare un nuovo aeroporto per la Città Metropolitana di Napoli e il Sud Italia.
La delocalizzazione degli aeroporti, molto comune nelle grandi metropoli europee come Barcellona, Berlino, Parigi, ha determinato indubbi vantaggi sia per il potenziamento dell’aeroporto stesso sia per le città che hanno migliorato, in un’ottica di sviluppo sostenibile, la loro qualità ambientale. Il confronto con la città di Barcellona evidenzia che, a fronte dei circa otto milioni di viaggiatori annui di Capodichino (pare sia un limite normativo invalicabile eppure si punta a 9 milioni e mezzo), l’aeroporto El Prat di Barcellona (delocalizzato a mezz’ora dal centro cittadino) conta oggi 37 milioni di viaggiatori annui. Una scelta coraggiosa come Barcellona significherebbe per la città di Napoli la vera svolta economica e sostenibile.
Paradossalmente sono quindi le caratteristiche e la localizzazione dell’aeroporto di Capodichino a rappresentare un forte tappo per lo sviluppo turistico e, nello stesso tempo, rappresentano un grave problema ambientale e di sicurezza per i napoletani. Si apra il dibattito sulla qualità della vita, sulla sicurezza, sullo sviluppo sostenibile del territorio connessi a una nuova ubicazione dell'aereoporto.

Carmine Maturo
co-portavoce Gente Green

venerdì 24 agosto 2018

Ponte sul Polcevera: Riflessioni e proposte di Gente Green sulle infrastrutture in Italia.

La sicurezza delle infrastrutture passa anche attraverso una corretta riflessione sul modello di mobilità. L'esempio del ponte sul Polcevera, quello purtroppo crollato a Genova, è eclatante.

Come sappiamo, negli anni 50, ma ancora oggi, molti dei decisori e, di conseguenza, dei progettisti impegnati in Italia sui temi del traffico e della mobilità individuarono che lo sviluppo del nostro paese dovesse passare attraverso una infrastrutturazione stradale, realizzata per favorire la mobilità su gomma.
Il triste evento che si è verificato può essere la molla per provare a riflettere e modificare l’approccio. Per fare questo, e quindi per incidere anche sulla sicurezza, è necessario avere una diversa visione strategica che passi genericamente attraverso la pianificazione con l’obiettivo principale della gestione del bene comune, effettuata attraverso una sistemicità sostenibile.
Una riflessione sul crollo del ponte sul Polcevera, a nostro parere, non può non tener conto di particolari aspetti che tendono a dimostrare la nostra ipotesi.

Parliamo di questa tragedia con circospezione (non vorremmo alimentare la cagnara che scoppia puntualmente in questi casi) e grandissima tristezza.
I ricordi specifici di quel ponte e dei lavori su esso effettuati sono quelli di uno di noi Gente Green che ha lavorato per qualche tempo andando su e giù da Genova. I ricordi iniziano dall’Ottobre del ’91, durante il salone nautico internazionale. Trapelò, a Salone in corso, la notizia della necessità di chiudere per lavori di manutenzione straordinaria il ponte sul Polcevera proprio durante quel Salone (!). Per questo i trasporti eccezionali e non, delle “barche” e  non, per il porto e non, per la Francia avrebbero dovuto attraversare altre strade, cosa ben difficile, conoscendo Genova e i suoi livelli di traffico commerciale.
Poco dopo, iniziarono i lavori di cui sopra e i trasporti eccezionali ‘e non’ hanno continuato ad attraversarlo1: detti lavori di manutenzione straordinaria, l’aggiunta esterna di nuovi stralli in acciaio riguardarono solo il primo cavalletto, quello verso Genova centro. Non furono eseguiti sugli altri due “cavalletti” ma, credendo come credo nel dovere delle amministrazioni pubbliche di gestire nell’interesse esclusivo del bene comune i territori e con essi le loro infrastrutture, mi dissi anche, a quel tempo, che evidentemente si era constatato che i problemi erano solo lì”.
E così detti traffici, insieme a tutti gli atri trasporti di merci e traffico leggero, lo hanno attraversato ancora fino a pochi giorni fa.
La sintetica storia di quell’opera.
Il ponte sul Polcevera fu progettato e costruito nei primi anni ’60 in cemento armato, in parte precompresso. Il cemento armato fu inventato alla fine dell’ottocento, pare, da un giardiniere Francese che risolse così il problema dei suoi vasi da giardino che si rompevano facilmente. Poi alla successiva esposizione universale di Parigi, quelli della contemporanea costruzione della Torre Eiffel, fu anche presentata una barchetta realizzata in cemento armato.
Con gli anni la scienza e la tecnica crebbero anche su quest’argomento: si scoprirono i vantaggi nel campo delle possibilità tecnologiche e dell’economicità rispetto al legno, ai mattoni, al ferro. E così iniziarono a nascere le regole tecniche conseguenti; per esempio le prime fatte per tener conto della sismicità dei luoghi sul cemento armato furono solo del 1962, quelle sulla durabilità del composto, addirittura del 1972.
Insomma, una tecnologia ancora giovane soprattutto per valutarne la resa nel tempo.23
Quello che si può serenamente e umilmente affermare è che le variabili che sono mutate nel tempo sono state tantissime. Variabili che se analizzate complessivamente avrebbero, così come lo dovrebbero per tante nostre altre infrastrutture, dovuto far scattare un automatico criterio di precauzione.
Precauzione contro la crescita del rischio al fine di tutelare innanzitutto il bene comune.
Precauzione che solo lo Stato, la nostra cultura, non certo un concessionario, può correttamente realizzare.
Il concessionario deve essere un mezzo, magari per meglio gestire, ma il suo modo di farlo deve necessariamente essere controllato dall’Amministrazione pubblica, perché il fine unico deve essere solo il bene comune. Non altro.
Si è sentito anche disquisire a sproposito questi e quelli e non esperti in ingegneria e in tecnologia edilizia circa le scelte progettuali dell’ing. Morandi. Riteniamo tutto ciò molto grave.
Un progettista, un grandissimo progettista nel caso di Morandi, assume un incarico che contiene di solito delle precise indicazioni. Immaginiamo che esse, nel caso in questione, potessero essere: costruire (in un territorio montuoso) un ponte che permettesse di realizzare il collegamento veloce est-ovest per i mezzi su gomma (quelli di allora, però); che permettesse di non distruggere le case che già erano lì; che permettesse di limitare l’impatto sul defluire delle acque del Polcevera, flusso non irreggimentabile perché dalla quantità molto variabile. L’ing. Morandi, a nostro parere, ha realizzato benissimo quell’incarico.
C’è inoltre da dire che in Italia, in quella repubblicana, quasi mai si è assistito a una pianificazione che per fare o migliorare il bene pubblico abbia particolarmente inciso su quello privato. Non crediamo che sia mai stata fatta una valutazione strategica complessiva per l’inserimento del ponte sul Polcevera. Di certo c’è il fatto che quei palazzi, quelle case, non furono abbattuti e dislocati altrove in occasione della costruzione del  ponte. 4 5
Cosa, purtroppo, usuale nel nostro strano paese. Anche i Francesi, con Murat, a Napoli, realizzarono un ponte per collegare il Palazzo Reale con la Reggia di Capodimonte (il ponte sul quartiere Sanità) non considerando il “bene comune”.
Ma allora la Repubblica era ancora un’ipotesi.
Secondo Gente Green non ha senso ricostruire il ponte crollato e/o realizzare la ‘gronda’ se non si definisce prima chiaramente la visione strategica complessiva.


Quindi, le nostre proposte: 
1.  Per quanto riguarda il caso specifico si deve rilanciare la questione sicurezza dei territori e delle infrastrutture in genere. 
In particolare si deve: 
a) stilare un rapporto sullo stato dei ponti;
b) istituire un’autorità pubblica permanente di riferimento che verifichi continuamente la bontà dei controlli, delle manutenzioni e della loro programmazione, di ogni opera pubblica, qualunque sia o sarà il suo gestore;
c) considerare infrastrutture aereoportuali interne e/o limitrofe ai centri abitati.
2. Pretendere il rispetto delle leggi da parte dei Comuni, in particolare sul Codice della strada, art.36; esso impone l'obbligo di dotarsi di Piani Urbani del Traffico al fine di ridurre l'inquinamento atmosferico e acustico, ridurre l'incidentalità, favorire il trasporto pubblico, la pedonalità e la mobilità ciclistica. Non concedere finanziamenti alle città prive di strumenti di questo tipo, tenendo conto dei 9000 morti all’anno (fonte OMS) e considerando che i Sindaci sono i soli responsabili in qualità di massime autorità sanitarie locali.
3. Imporre agli enti proprietari delle infrastrutture (Anas, RFI, etc.) la riqualificazione paesaggistica e ambientale delle aree di propria pertinenza, dei tracciati e delle relative aree pertinenziali al fine di realizzare una rete infrastrutturale ecologica.
4. Prevedere finanziamenti settoriali per ZTL, Zone 30, aree ambientali e rete di “percorsi sicuri per le scuole, rete ciclabili urbane e aree pedonali” anche attraverso il corretto utilizzo dei fondi dell'art. 7 e 208 del Codice della strada (proventi dei parcheggi su strada e multe).
5. Equiparare, tra il Nord e il Sud, il numero e la qualità delle infrastrutture per la mobilità data l’attuale disparità in termini quantitativi e qualitativi. 

Filmato del ponte: 


Antimo Di Martino - Comitato Scientifico Gente Green